Annusa spesso il tuo formaggio, così ti accorgi se diventa vecchio

Non passa convegno in Italia senza che qualche relatore non reciti il mantra che la risorsa umana è il vero asset strategico per le imprese. In troppi spendono fiumi di parole sull'importanza del capitale umano che deve essere visto come un fattore competitivo.
Pura retorica!
Basta entrare nella quotidianità dei comportamenti aziendali per scoprire che gli investimenti formativi delle aziende nazionali stagnano, attestandosi complessivamente su un 0,5% del fatturato lordo annuo.
L'Italia investe poco in capitale umano e formazione; rispetto agli standard comunitari i dati sono davvero stridenti. I numeri in possesso ci dicono che in Belgio nel 2010 le aziende hanno investito per la formazione circa 1.110,00 € a persona contro i 420,00 € che di media sono stati investiti dalle aziende italiane.
Questo dato è altamente significativo, perché descrive come la formazione venga vissuta più come elemento accessorio che come elemento strategico nella vita aziendale.
Effettivamente nella mia attività di consulente, spesso mi imbatto in imprenditori che sentenziano così:
"Signora, la nostra azienda è leader nel settore da anni. Tutto funziona benissimo, perché dovrei fare della formazione? Qua non c'è proprio nulla da migliorare, anzi se vuole le spiego io un po' di cose!"
Per non parlare delle frasi tipo: "Noi non dobbiamo cambiare, è la burocrazia che deve cambiare..."o, "...Adesso non è il momento, sì, so che dovrei, ....ma fermiamoci, aspettiamo...voglio aver modo di mettere in pratica quanto appreso e intanto aspettiamo che la situazione si sistemi.."
Potrei continuare con l'elenco per delle ore, il problema è che non sto tirando l'acqua al mio mulino, sto semplicemente fotografando uno spaccato di economia reale fatto di alibi e atteggiamenti tutt'altro che strategici.
Nelle nostre imprese si investono molti soldi (come è più che giusto che sia) per implementare le linee produttive, per ottimizzare i processi informatici, per conseguire certificazioni di qualunque tipo, etc...senza realizzare che tutti i cambiamenti, siano essi piccoli o epocali, passano solo attraverso la creazione di un atteggiamento strategico.
Diciamoci la verità: l'unica cosa che ancora manca nel nostro tessuto imprenditoriale è l'atteggiamento strategico!
Oserei dire che oggi il nostro sistema impresa non è alfabetizzato alla formazione strategica.
Se in democrazia l'alfabetizzazione - la capacità di leggere e scrivere - è la vita e il sangue di una comunità di cittadini informata, in economia si dovrebbe poter parlare di alfabetizzazione strategica intesa come formazione continua atta ad insegnare agli imprenditori come leggere e prevenire gli eventi interni ed esterni alla propria azienda, per definire di conseguenza gli obiettivi e le azioni più utili.
Spesso i nostri imprenditori confondono l'attività con la produttività: Il fatto di avere delle procedure ben definite, o dei collaboratori apparentemente fidelizzati con anni di esperienza alle spalle che li portano ad ottenere risultati soddisfacenti, non è sinonimo di produttività.
Le nostre aziende non devono essere popolate di collaboratori che sono bravi ed efficienti nell'eseguire sempre gli stessi compiti, ma devono essere abitate da professionisti che, oltre alla fedeltà nei confronti della cultura aziendale, abbiano sviluppato doti quali la flessibilità e l'intraprendenza; ciascuno dovrebbe poter vivere con responsabilità un ruolo, imparare a fiutare i cambiamenti che saranno necessari per il bene dell'azienda stessa e agire nei tempi utili.
Mentre parlo di questo argomento, non posso fare a meno di ripensare ad un libro letto tanti anni fa: "chi ha spostato il mio formaggio". Si tratta di una storia molto semplice e volutamente banale, tanto banale da fissarsi nella mente dopo aver letto la trama una sola volta.
Per chi non avesse mai letto il libro, si narrano le imprese di 2 gnomi e 2 topolini (che rappresentano 4 caratteristiche fondamentali di noi umani) che ogni giorno percorrono i meandri di un labirinto (azienda) alla ricerca del deposito di formaggio (successo, benessere, serenità, posto sicuro....). Ognuno di noi può interpretare il formaggio come la piccola visione personale che ricerca nel lavoro per sentirsi appagato.
Quando il deposito di formaggio finisce in maniera "apparentemente improvvisa", gli gnomi vengono colti impreparati dal cambiamento. L'appagamento generato dalla comodità di una finta abbondanza li ha portati a vivere uno status di "falsa sicurezza", e a sviluppare via via un atteggiamento di arroganza nei confronti della realtà. Avevano perso la capacità di confrontarsi con i segnali che la quotidianità continuava a dare loro. I topi, al contrario, in maniera rapida e flessibile, non hanno perso tempo di fronte alla nuova condizione, mettendosi in gioco immediatamente nella ricerca di un nuovo deposito di formaggio.
"La crisi del formaggio" ha fatto realizzare ai simpatici roditori come l'abitudine e la conseguente comodità li avesse portati a nutrirsi con formaggio ammuffito senza nemmeno accorgersene. Avevano smesso da tempo di annusare il formaggio, e non solo non avevano compreso quanto stesse invecchiando, ma nemmeno che l'abbondanza stava finendo.
Il mio obiettivo non è quello di riassumere il libro di Spencer Johnson, ma quello di sensibilizzare le aziende e gli imprenditori alla formazione strategica.
Cari imprenditori, il vostro formaggio è l'azienda nel suo complesso: i vostri collaboratori, il vostro prodotto, la vostra cultura, la vostra visione, le vostre procedure, il vostro atteggiamento, il vostro metodo, etc...
L'azienda va annusata tutti i giorni; il mercato va annusato tutti i giorni. La domanda che ci dobbiamo porre costantemente è: "Perché oggi sto mangiando formaggio? Da dove proviene? È di qualità rispetto alla mia visione? Come posso migliorare la qualità? Come posso far sì che i palati della mia squadra non si abituino ad un solo tipo di formaggio ma si abituino, invece, a cercare e ottenere sempre formaggio altamente qualitativo?"
Conosci te stesso!
Chiara Pulzato